Il volume pone già nel titolo una questione fondamentale per la creazione di assetti territoriali durevoli nel tempo e produttivi. Sappiamo infatti che nell’antichità i fattori idrografici costituivano uno dei problemi più seri per l’agrimensore e dovevano pertanto essere considerati con scrupolosa attenzione nell’approntamento del disegno agrario. Era in sostanza il confronto con quella natura loci che esigeva il rispetto necessario nel dialogo incessante tra l’uomo e il paesaggio. Una dialettica che comprendeva anzitutto proprio le acque correnti di superficie che potevano essere una risorsa, ma allo stesso tempo potevano incidere negativamente sulla stessa sussistenza di un territorio, soprattutto nel caso di straripamento o comunque in relazione alla loro azione erosiva. L’autore analizza le diverse opere che nell’antichità sono state approntate per sottrarre la terra all’acqua e perciò bonificarla, renderla cioè ‘buona’, o anche per rendere in qualche modo praticabile l’acqua stessa e portarla a ‘regime’. Con acribia sistematica e paratattica, Frassine segue una strada irta di tratti oscuri, a partire dalle valenze semantiche dei termini e dal loro uso in antico, attraverso poi gli interventi che coinvolgono l’idrografia lacustre o fluviale e le strategie utilizzate (canali, colmate, drenaggi, sistemazioni spondali, arginature etc.) e infine gli assetti agrari.