Quando Alfio mi ha proposto di illustrare le sue “Favole” mi sono sentito imbarazzato. Non riuscivo a trovare una soluzione efficiente per questi testi. Le sue favole, infatti, non raccontano un avvenimento, ma rimandano il proprio significato ad “altro”, ad un senso che appartiene alla sfera dei valori comportamentali, ad una metafora estraniante. Un’allegoria della vita portata in scena (da quel bravo autore teatrale qual è) da protagonisti estranei alla metafora, all’allegoria. Così la parola diventa altro, diventa immagine non figurata legata al racconto, ma elevata alla conoscenza etica. Così le immagini disegnate erano inadatte all’illustrazione. Era logico che la parola stessa diventasse immagine, forma essa stessa… (Dalla postfazione di Liborio Curione)